Come si fa il formaggio
Il formaggio è un alimento che è presente nella dieta alimentare umana da millenni. Nell’antica Roma, ad esempio, il formaggio a pasta dura era cibo per i soldati.
Anche se ne esistono di diversi tipi e forme, in genere il processo di base di creazione resta lo stesso per tutti i formaggi e può essere suddiviso in alcuni passaggi fondamentali, che possiamo riassumere nel seguente modo:
- Coagulazione del latte (dalla quale si origina la cagliata);
- Spurgo del siero dalla cagliata;
- Stagionatura o maturazione.
La differenza tra un formaggio e l’altro va poi ricercata in aspetti specifici della materia prima utilizzata che includono, tra gli altri, la qualità e la tipologia del latte utilizzato (determinata dall’alimentazione, dal tipo e dalla razza animale), le temperature e la quantità di acqua, ovvero percentuale di umidità che si toglie o si lascia all’interno del formaggio, a seconda che venga più o meno stagionato.
Il tipo di latte utilizzato: intero, scremato, crudo o pastorizzato
Partendo dal tipo di formaggio che si vuole fare, il latte utilizzato può essere intero oppure parzialmente o totalmente scremato dalla crema di latte e, ancora, crudo o pastorizzato. Restando in tema di temperatura, bisogna specificare che variandola, si vanno a modificare anche le caratteristiche organolettiche del latte e, di conseguenza, quelle del formaggio.
Il latte, all’interno della mammella dell’animale, è sterile, ovvero non ha alcuna vita microbiologica. Appena estratto mediante mungitura, il latte acquisisce immediatamente una vita propria. Pertanto, l’utilizzo di latte crudo (come nel caso del Parmigiano Reggiano), comporta il mantenimento di tutte le caratteristiche microbiologiche originali del latte.
Ma cosa significa “latte crudo”? Il latte si definisce “crudo” quando non è stato sottoposto a nessun processo di pastorizzazione. La pastorizzazione, invece, è un trattamento termico utilizzato per abbattere la carica batterica patogena del latte, dannosa per l’organismo umano, salvaguardando la carica utile alla caseificazione.
La pastorizzazione è sovente praticata per guidare meglio le fermentazioni che avvengono con l’innesto di batteri conosciuti, e si ottiene portando il latte alla temperatura di 72° C e mantenendola costante per circa 15’’. Questa tecnica risulta particolarmente adatta alla trasformazione del latte in formaggi che non superano i 60 giorni di maturazione, mentre per i formaggi D.O.P. non è necessaria, ma in alcuni casi concessa. Oltre alla pastorizzazione, in caseificio avviene anche la termizzazione, una procedura utilizzata per ottenere il lattoinnesto.
Prematurazione e affioramento
Quando il latte risulta troppo “pulito” è necessario farlo maturare, ovvero lasciare che la carica batterica al suo interno cresca di numero per incrementarne la fermentazione.
Normalmente il latte viene lasciato a riposo a temperature variabili, a seconda del formaggio da ottenere, fra i 10° e i 20° C. Un’ulteriore tecnica utilizzata prima della caseificazione è la cosiddetta sosta per affioramento del grasso: viene effettuata per formaggi a latte parzialmente scremato, dentro a contenitori lasciati a temperatura ambiente o in vasi di rame che vengono immersi in acqua fredda corrente.
Dopo essere stato munto e raccolto, il latte viene immesso in appositi contenitori di diverse tipologie: il classico paiolo o caldaia di rame semisferica riscaldata a fuoco diretto a legna o a gas, la caldaia a cono rovesciato adatta per i formaggi a pasta dura di tipo grana; il tino di coagulazione; la pentola a forma cilindrica in acciaio; i macchinari complessi come le polivalenti in acciaio inox per la lavorazione e coagulazione del latte, permettono al casaro di guidare le diverse fasi attraverso comandi elettrici o elettronici che normalmente sfruttano il calore del vapore.
Lattoinnesto e sieroinnesto
Una volta versato il latte nelle caldaie, il casaro vi inocula un innesto di fermenti lattici. Il latte, infatti, deve mantenere una carica batterica utile alle fermentazioni che avvengono nelle varie fasi della vita del formaggio. Anche se parte da latte crudo, il casaro può decidere di innestarlo ugualmente al fine di aumentarne la carica batterica.
Normalmente, per fare questo, si aggiunge il lattoinnesto o il sieroinnesto, che permettono, il primo, di ottenere formaggi a pasta semidura e dura, l’altro formaggio a pasta dura, tipo il Parmigiano Reggiano. Nel caso di latte pastorizzato, c’è la possibilità di innestare sia lattoinnesto che sieroinnesto, o fermenti lattici liofilizzati o congelati.
Insieme all’inoculo dei fermenti lattici è possibile, per quei formaggi che lo richiedono, innestare le muffe classiche dei formaggi a crosta fiorita o erborinati: il Penicillium candidum o il Penicullium roquefort.
La coagulazione
Dopo essere stato versato, il latte viene trasformato attraverso la coagulazione. Ciò consiste in un processo di agglomerazione e precipitazione della caseina, ovvero la principale proteina del latte, e di buona parte del grasso presente nel latte, che si separano dalla parte liquida, ovvero il siero.
All’interno del reticolo caseinico del siero restano disciolti acqua, lattosio e una ridotta quantità di globuli di grasso, unitamente alle sieroproteine (note come lattoalbumine e globuline) dalle quali si ricava la ricotta. La coagulazione può avvenire per acidificazione, mediante l’azione dei fermenti naturalmente presenti nel latte, oppure più comunemente per via enzimatica utilizzando il caglio, o presame, che è una miscela composta da vari tipi di enzimi proteolici, che viene estratta dal quarto stomaco dei lattanti di origine bovina, ovina e caprina, animali quindi che non hanno ancora assunto erba come alimento.
Il caglio è fondamentale in quanto ha la capacità di far coagulare il latte in un tempo determinato e previsto dal casaro.
I diversi tipi di caglio
Per fare il Parmigiano Reggiano si utilizza sempre il caglio di origine animale, nello specifico dei vitelli.
Tuttavia, esistono anche altri tipi di coagulanti che possono essere estratti da vegetali, tra cui il fico, il cardo e la papaya. Ancora, sono disponibili anche coagulanti microbici o fungini, con la medesima funzione del caglio ma con un’azione molto più debole e assolutamente inadeguati per creare formaggi a pasta dura di tipo grana.
Cottura della cagliata e spurgo
Una volta formata, la cagliata viene rotta con un apposito strumento, detto spino, in pezzi le cui dimensioni variano dal tipo di formaggio che si vuole ottenere: grandi come un’arancia, nel caso di formaggi a pasta molle, come un fagiolo, nel caso di formaggi a pasta semidura, o piccoli come un chicco di riso per i formaggi a pasta dura.
Dopo essere stata rotta, la cagliata viene cotta a varie temperature a seconda del tipo di formaggio prodotto. La massa, infatti, può subire un trattamento termico differente determinato dalla necessità di spurgare, ovvero di far uscire l’umidità e quindi asciugare maggiormente la pasta ottenuta. Tale trattamento si definisce semi-cottura se si raggiunge la temperatura di riscaldamento a 45-46° C, invece si chiama cottura se si oltrepassa questa temperatura.
Estrazione, salatura e stagionatura
Dopo la cottura, la cagliata sminuzzata viene lasciata riposare per un breve periodo, durante il quale si contrae diventando più solida e compatta, per poi venire estratta dall’interno caldaia.
L’estrazione va effettuata indipendentemente dal fatto che si producano formaggi a pasta molle o a pasta dura. I metodi di estrazione sono tanti, da quello manuale, con secchi, a quello effettuato con teli di tessuto naturale e resistenti, come il lino o la canapa, oppure con capovolgimento delle polivalenti.
In ogni caso la pasta caseosa viene poi inserita dentro ad apposite fascere o stampi (in giunco, in plastica, legno o teflon) precedentemente disposti sul tavolo spersore, tipico tavolo rettangolare utilizzato nei caseifici, appositamente scanalato e inclinato allo scopo di far drenare e quindi colare il siero dalla pasta per poi raccoglierlo in appositi contenitori collocati in fondo al piano inclinato.
All’interno delle fascere, la pasta potrà subire una pressatura, per aumentarne la consistenza. Successivamente, le forme passano alla salatura, a secco o in salamoia, che ha lo scopo di insaporire, ma anche di aumentare la conservabilità del formaggio. A questo punto inizia l’ultima fase, la maturazione o stagionatura, che può durare da poche ore fino a molti mesi, o anni, a seconda del tipo di formaggio prodotto.
Anche se i passaggi sopra descritti riguardano, generalmente, la produzione di tutti i formaggi ad oggi conosciuti, va specificato che in certi casi, alcuni passaggi non sono previsti: ad esempio, nei formaggi a coagulazione lattica, tipo il caprino, non è previsto l’utilizzo di caglio o coagulanti.
Come si fa il Parmigiano Reggiano
Entrando più nello specifico del Parmigiano Reggiano, va detto che molte delle procedure sopra riportate vengono seguite, partendo da latte crudo che non viene mai pastorizzato, all’utilizzo di sieroinnesto per aumentarne la carica batterica e al successivo inserimento di caglio di origine animale, quello estratto dal quarto stomaco dei vitelli da latte, seguendo poi tutte le altre fasi dalla coagulazione in poi.
Stagionatura del Parmigiano Reggiano
Pur essendo realizzato con quasi 600 litri di latte crudo di elevatissima qualità, il Parmigiano Reggiano subisce una lunga stagionatura di almeno 12 mesi, che comporta una naturale eliminazione di quella carica batterica, seppur bassa, che vi si trova nella fase iniziale della lavorazione.
Inoltre, sempre grazie alla prolungata stagionatura, il Parmigiano Reggiano è soggetto a intensa lipolisi, processo di degenerazione di globuli di grasso, provocata dalla presenza della lipasi, un enzima naturale del latte che si trova anche nel caglio. Nello specifico, i trigliceridi vengono idrolizzati in glicerina e acidi grassi, i maggiori responsabili degli odori e degli aromi del formaggio.
La proteolisi (processo di degenerazione delle proteine) e la lipolisi determinano le caratteristiche organolettiche finali del formaggio: la loro azione s’intensifica in maniera proporzionata al tempo della stagionatura. Nei formaggi freschi, invece, si riscontra quasi sempre una ben più bassa intensità aromatica perché gli enzimi proteolitici e lipolitici non hanno il tempo per dare vita a un’elevata aromaticità.
Questo spiega il motivo per cui, nel momento in cui si apre una forma di Parmigiano Reggiano, la stessa rilascia una complessa e altamente strutturata intensità di profumi e aromi , che lo rendono unico ed inconfondibile rispetto a molti altri formaggi seppur stagionati.
Formaggi preparati con procedure differenti: il casu marzu sardo
Esistono tuttavia formaggi che vengono creati seguendo procedure che si distaccano in buona parte da quelle sopra descritte.
Ad esempio, il casu marzu sardo, noto anche con il nome di “formaggio con i vermi”, creato dal latte di pecora. Nato nella provincia di Nuoro, oggi viene prodotto in tutta la Sardegna. Si differenzia rispetto a tutti gli altri formaggi perché durante la stagionatura, il casu marzu viene lasciato intenzionalmente infestare da larve di una mosca, detta la mosca casearia (Piophila casei).
Generalmente questa mosca è temuta ed evitata da tutti i caseifici, ma nel caso del formaggio con i vermi essa risulta essenziale per la corretta stagionatura del formaggio. Casu marzu è l’espressione dialettale che significa formaggio marcio, ma è conosciuto con nomi diversi (casu frazigu, casu modde, casu becciu, casu fattittu, casu giampagadu, cassu ‘attu, casu cundítu, hasu muhido, ecc.) a seconda delle zone in cui viene prodotto.
In Sardegna, il casu marzu ha anche ottenuto il riconoscimento PAT, cioè l’iscrizione all’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione e attualmente è in attesa di venire certificato DOP.
Per un certo periodo, questo formaggio non veniva quasi più prodotto, o per lo meno commercializzato, in quanto non propriamente in linea con la normativa europea a livello igienico-sanitario. Era stato addirittura descritto come “il formaggio più pericoloso al mondo per la salute umana” (ovviamente non è vero). Successivamente i produttori hanno fatto ricorso, vincendo, puntando sulla tradizionalità del prodotto e la sua storia decennale.
La preparazione del casu marzu
Il casu marzu nasce come una forma di pecorino. Successivamente. con una tecnica specifica, viene favorita la naturale riproduzione delle larve della mosca casearia: la crosta superiore della forma viene tolta e la pasta interna viene mescolata e bucherellata. Il formaggio viene quindi immerso in salamoia per pochissimo tempo, così da non risultare troppo salato.
Si aggiunge quindi un po’ di oli , con il duplice intento di catturare l’attenzione della mosca e di rendere la pasta più morbida. La sua stagionatura dura dai 3 ai 6 mesi e il periodo di produzione va dalla primavera all’autunno.
Una volta che la mosca casearia ha attaccato il formaggio, essa inizia a deporre le uova: una femmina può arrivare a deporre fino a 500 uova in una sola volta. Quando le uova si schiudono, le piccole larve si nutrono della pasta di formaggio trasformandola in una crema.
Ogni moscerino che si forma andrà a deporre le sue uova su un’altra forma in un ciclo continuo. Alla fine della stagionatura all’interno del formaggio saranno rimaste alcune larve (molte si saranno trasformate già in moscerini e saranno volate via), della grandezza di circa 1 cm, quindi visibili ad occhio nudo, ancora vive e ancora all’opera.
Il casu marzu si presenta con una forma cilindrica, senza crosta superiore, al cui interno la massa si è trasformata in una crema di colore giallo-grigiastro. All’interno sono visibili le larve ancora vive degli insetti (indice di salubrità del formaggio, se non si muovono significa che è andato a male).
Il sapore è piuttosto intenso, pungente e sapido, ma non bisogna pensare che sia un formaggio così estremo: anche il caso marzu va valutato come qualunque altro formaggio, dal punto di vista organolettico, dunque per essere considerato di qualità deve mantenere un certo equilibrio, cioè non deve essere troppo amaro, piccante o salato. Avendo comunque caratteristiche gustative piuttosto intense, il casu marzu è difficile da abbinare e va mangiato a piccole dosi.
Quindi ogni volta che parliamo di “formaggio”, dobbiamo aver chiaro che, in linea di massima, la lavorazione viene effettuata nello stesso modo per tutti ma è solo grazie alle mani, all’esperienza e alla passione del casaro che si otterranno formaggi diversi e, anche a parità di tipologia, più o meno buoni.